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carla vercelli

carla vercelli

Sono laureata in filosofia con indirizzo psicologico dal 1989.
Pittrice, poetessa, scrittrice, ho pubblicato:
"Il cielo ha il colore delle rose" (2012),
"Coglimi d’ineffabile Poesie d’Eros" (2014/2019),
"Cromistorie: vi racconto una fiaba colorata" (2014),
"Bello più di prima" (2015), ... (continua)


La sua poesia preferita:
Ragazza
Sono nei dossi sconosciuti della mente
negli accavallamenti del cuore
ove il respiro dell'anima tende
-comunque-
alle tonalità della speranza
e lo spirito è vento di novità.

Vicina a Dio
ne percepisco i palpiti
di gioia, di...  leggi...

Nell'albo d'oro:
Due usignoli
T’aspetto sin dall’aurora.
L’usignolo tende la notte
su un arco di melodia-

il buio rarefatto dal suo canto,
ad ogni...  leggi...

Guadando il fiume
-Guadiamo il fiume- mi proponi lieto.
Biciclette per mano, attraversiamo
tutto questo tempo, da greto a greto.

Il chiaro dì della vita solchiamo
fresca acqua amniotica che estremità
lambisce, con fiducia assecondiamo

in un’atavica serenità.
Non...  leggi...

Câblé n. 5
Mi hai già vista
in un teatro sul mare ad Ischia.
La solista cantava "Passione"
a piedi scalzi
e tu guardavi me
come fossi la donna del tuo destino.

In una fiaba di Andersen
ci siamo baciati
e in un quadro di Van Gogh
abbiamo passeggiato per le...  leggi...

Ma è da lontano
I tuoi scritti ho chiuso
pagine e pagine d’amore
la disamina di due vite
dapprima -e ancora- separate
all’insegna di ricordi, aspirazioni,
esperienze, passioni
e passione.

Non saprei in quale giorno
-ora disteso inchiostro
sulla pagina...  leggi...

Quattro passi oltre i cinquanta
Temevo la vulnerabilità del tempo
questo mare sconfinato che è riva a se stesso
ma il tempo oggettivamente misurabile
non è il mio tempo.

Virato il mezzo secolo
oltrepassato con quattro passi il guado
che immette, a proprio malgrado, nella...  leggi...

Le approssimazioni del cuore
Un circuito di pesci rossi
ha mille direzioni ma un’unica meta
-ritrovare in qualche modo il mare-

Sono dedali le approssimazioni del cuore:
si tergiversa sul corpo
e la mente crolla in rovinose cadute
verso una libertà ipotecata.

Nella...  leggi...

Nata da te
Sono nata da te
un giorno che non ho scelto
dallo spasmo del tuo sterno
al nostro primo bacio,
dalla ruvida tenera carezza del vasaio
sulla mia gota accesa di terra rosa
oltre l’insenatura dell’angelo,
oltre la collina dei melograni,
nel liquido...  leggi...

Periplo
Ti ho circumnavigato più volte
passando per gli stretti svariati
del tuo essere uomo
per me

Ogni volta era la sorpresa
della comprensione o dello slancio
o dell’autorevolezza o della perentoria
ma tenera gelosia.

Come un continente emerso
da...  leggi...

Certi amori
sono delle vie inesplorate
all’ombra di lampioni spenti
vicoli ciechi
con plurime uscite laterali
cunicoli dai selciati sconnessi
dai portoni scuri
in cui scambiarsi effusioni
che t’infradiciano
di voglie inesauste
sotto una pioggia...  leggi...

Regalami un interno di Vermeer
Regalami un interno di Vermeer
dove io sorrida e brindi
al nostro convegno senza principio
Bagni fiori e appresti deschi
con brocche d’argento su panni di broccato

Una gabbia vuota di cardellino

Ove ti sia modella e musica
un suono...  leggi...

Avec Paris
Bella donna Parigi!
Deliziosa e complicata
che non si concede subito

Seguir e corteggiar la devi
sui lunghi boulevard alberati
e fra i bistrot saturi
di giovani speranze

Ti perdi ad odorare crepes?
Lei indica rues inerpicate
tra colorati...  leggi...

Ho dipinto per anni
Ho dipinto per anni
nello studio tetro
o en plein air
luce scolpita o diffusa
colori sulla tavolozza
pennelli setosi di martora
seguivano immagini e pensieri
oltre la tela bianca
oltre il liquido odore del solvente
come un torrente che...  leggi...

Quello sguardo
Dei tuoi occhi color di un cielo terso
ricordo bene la luce e quello sguardo
diretto ad elargir sorrisi e carezze
a me bambina che da te pendevo

Non comprenderò mai abbastanza
delle tue mani operose e liete la costanza
per migliorare...  leggi...

Rosa selvatica
La luce di quel lampione
acceso a mezza sera
promette attimi umidi
dei tuoi respiri.

Sono qui che ti aspetto
tra le ansie del giorno
e la quiete della notte
per vivere ancora.

Arriverai tra breve
allegro come il sole
calmo come il...  leggi...

carla vercelli

carla vercelli
 Le sue poesie

La sua poesia preferita:
 
Ragazza (04/08/2015)

La prima poesia pubblicata:
 
L’attesa (12/04/2010)

L'ultima poesia pubblicata:
 
Il cuore verticale (09/04/2024)

carla vercelli vi consiglia:
 Regalami un interno di Vermeer (11/04/2011)
 Guadando il fiume (12/07/2017)
 Se tu volessi scrivermi (24/02/2015)
 Gli ultimi fiori di campo (19/06/2013)
 Leziosa beatitudine (11/01/2018)

La poesia più letta:
 
Fresia (08/11/2010, 10465 letture)

carla vercelli ha 14 poesie nell'Albo d'oro.

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 settimana dal 27/07/2015 al 02/08/2015.

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La scuola

Giallo e Thriller

"Oriella, ma ti vuoi sbrigare? Possibile che debba aspettarti sempre io? Siamo in ritardo, pauroso ritardo. It’s incredible, today too. Il primo giorno di scuola, il primo giorno del nuovo anno scolastico alla nostra scuola secondaria di primo grado, la nostra solita scuola dove lavoriamo da diciassette anni... e non vorrei essere licenziato io, professore d’inglese, perché accompagno la mia mogliettina, docente di disegno e storia dell’arte, la quale è sempre in ritardo... ma si salva, lei si salva, con quei sorrisi dolcissimi che elargisce a professori e preside... ma a me, darling, mi licenziano! Stavolta sì, prima di iniziare... Sei pronta?"
Henry trafficava con le sue scarpe da ginnastica, tirò forte un laccio e questo si ruppe. "Noooo, anche questa!"
"Cosa succede? Siamo nervosi stamattina! E che sarà mai? Ci penso io!" Apparve Oriella ancora in sottoveste dalla porta della stanza. "Non siamo in ritardo proprio per niente. Sono solo le otto. Ci mettiamo giusto cinque minuti ad arrivare alla scuola. Tre minuti ti sistemo le stringhe, due minuti mi trucco, un minuto mi vesto..." prese la scarpa di Henry dalle sue mani per sistemarla.
"Sì e zero minuti ci mettono a licenziarmi..."
"Qui a Sorrento è tutto molto fluido, soprattutto il primo giorno di scuola. Dovresti saperlo, abiti qui da vent’anni, da quando mi conosci, praticamente. Non hai imparato nulla di questa mentalità efficace della lentezza. Non siamo nella Quinta Strada a New- York. Siamo a Sorrento, rilassati. Ed è il primo giorno di scuola, non quello dello scrutinio o dell’esame di licenza. Ecco fatto," e gli porse la scarpa.
"Mentalità efficace della lentezza? What? Ma dove le trovi certe espressioni? Ecco perché ti ho sposato quindici anni fa! E anche per tutto il resto, naturalmente," le posò un bacio sulla bocca.
"Piuttosto, dimmi, a che ora pensi di aver finito? Oggi vorrei dipingere, finire il quadro che ho sul cavalletto e andare a Villa Fiorentino a vedere la mostra di Aligi Sassu. Da luglio ci dobbiamo andare ma col fatto che tu ti debba sempre abbronzare... " Oriella si girò verso la grande tela che campeggiava in un angolo del grande soggiorno. La luce del mattino, che arrivava da due ampi finestroni appaiati, modellava le figure ritratte nel quadro. Si trattava della rappresentazione di due maschere veneziane, tipiche del Carnevale. Maschio e femmina si capiva dai loro lineamenti, dalla statura più pronunciata di lui, dai loro vestiti e copricapi. Il colore prevalente era il rosso, soprattutto nell’ampio abito di lei che portava sopra la maschera un diadema vistoso di pietre preziose. Sullo sfondo, a sinistra s’intravedeva chiaramente delineato il Palazzo Ducale.
"Carissima, ma non hai l’orario provvisorio che abbiamo deciso insieme agli altri professori una settimana fa?"
"L’ho perso, ho altro di cui occuparmi, lo sai..."
"Ok, guarda caso ce l’ho io... " E si tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un foglietto. "Allora tu oggi finisci alle dieci e io alle undici. Ma ti vai a vestire?"
"Bene, allora ti aspetto in sala professori, poi andiamo al Sciuè Sciuè, facciamo un brunch e poi direttamente a vedere Sassu. Chiude alle 13 la mostra, mi raccomando!"
"Come mi raccomando? Proprio tu mi parli di orari. Sì, agli ordini, darling, basta che ti muovi!"



L’istituto scolastico dominava con i suoi tre piani da una collinetta appena fuori dal centro storico di Sorrento. Oriella ed Henry arrivarono alle otto e trenta. C’erano una quarantina di alunni fuori, nel piazzale interno dell’edificio, circondato da tigli, le cui classi non erano state ancora assegnate. Henry si augurò che fossero i suoi alunni e quelli di Oriella. Non riusciva a capire bene se ci fosse nel gruppo qualcuno che conosceva. L’aria era piacevolmente tiepida in una giornata fantastica. Dagli archi che s’aprivano verso il parcheggio si scorgeva il mare, di un azzurro intenso sotto un cielo altrettanto azzurro, come succedeva spesso nelle giornate di settembre a Sorrento, mentre l’estate era deliziosamente umida e un pochino più fosca.
"Oh, professor Lester, signora Lester..." una donna intorno alla cinquantina dai civettuoli occhiali rossi, uno chignon alto e un vestito a fiori lilla si fece avanti dal gruppo di alunni e tese loro la mano. "Ho volutamente lasciato per ultime le vostre due classi della prima ora. Allora, terza C per lei, signor Lester e prima A per lei, professoressa Gargiulo. Non vi dispiacerà, spero, accompagnarli voi stessi nell’aula."
"Grazie, preside, scusi il ritardo," sorrise Oriella.
A quel punto Henry si guardò in giro. Ma certo! Come poteva non aver riconosciuto Leandro, Susanna, Tommaso, Antonina... Caspita, come erano cresciuti da giugno. Si sentì chiamare: "Ehy, prof how are you? Prof, prof, come sta?" La sua classe preferita, decisamente la sua classe preferita, forti e tenaci, fantasiosi e concreti. "Come state ragazzi?"
Oriella, che era rimasta un passo indietro, lo salutò con la mano e con un sorriso, mentre lui abbracciava i suoi ragazzi diretto all’entrata. Poi si apprestò a conoscere invece la sua, di classe. Aver a che fare con una prima non era cosa da poco. Bisognava rompere il ghiaccio, vedere poi sino a che punto erano arrivati da scuole primarie diverse, cercare inoltre di capire il carattere di ognuno, pregi, limiti, difetti. Ma per intanto era necessario presentarsi. "Ciao, sono Oriella Gargiulo, la vostra insegnante di Arte e Immagine. Andiamo in aula."
L’aula era al primo piano dell’istituto. Bisognava fare cinque scalini per accedere dapprima al lungo corridoio e poi alle cinque aule disposte lungo i lati. Oriella notò che una bambina zoppicava vistosamente. Era bruna, capelli ricci, un visino decisamente simpatico, rotondo, le guance rosse. Dimostrava meno della propria età, era piccola, fragile, un batuffolo.
"Aspetta, ti aiuto io," Oriella porse il braccio alla bimba. "Come ti chiami?"
La bambina sorrise a tutto tondo mostrando un apparecchio dei denti: "Diana, maestra, mi chiamo Diana."
"Non sono la tua maestra, sono uno dei tuoi professori. Gli altri li conoscerai dopo la mia ora."
Gli altri alunni le si affollarono contro. "Io mi chiamo Loris!". "Io sono Giulia!"...
"Va bene, ragazzi, andiamo a sederci e a fare l’appello." Sistemò Diana al primo banco e si accorse che nessuno si sedeva accanto a lei, nella gran confusione per cercare i posti. Allora chiamò Giulia, l’unica che conoscesse per nome. "Giulia, mettiti lì, accanto a Diana." Giulia era bionda, di statura media. Non oppose resistenza, nessuna domanda, solo il visetto un po’ imbronciato.
"Allora ragazzi, facciamo l’appello." Oriella prese un foglio coi nomi degli alunni che era affisso sulla cattedra e cominciò a leggere i cognomi e i nomi di battesimo dei bambini. Era un momento che le piaceva: memorizzare i nomi, i visetti, le figure, i posti dove erano seduti. Era sempre stata dotata di una grande memoria visiva. E questo pregio l’aveva spinta a scegliere dapprima il Liceo artistico che aveva frequentato a Sorrento e poi l’Accademia di Belle Arti di Napoli che aveva una sede distaccata nella cittadina. Il padre di Oriella, Antonino, era un intagliatore di tarsie antiche che esponeva e vendeva in un negozietto, in piazza Torquato Tasso, la piazza principale del borgo, al quale era annesso un piccolo laboratorio. Quindi l’arte Oriella ce l’aveva nel sangue. Si era ritrovata ad insegnare, dopo aver conosciuto Henry, perché le era sembrata una via sicura per potersi mantenere e, nello stesso tempo, continuare a dipingere. Ultimamente aveva venduto parecchi quadri, ai turisti che frequentavano il negozio di suo padre al quale lei affidava le sue tele. Dipingeva essenzialmente ad olio e ritraeva soggetti naturalistici, di folklore e paesaggi italiani, che affascinavano soprattutto gli stranieri.
I ragazzi si misero a ridere e a parlottare ad un cognome strano di un alunno. Succedeva quasi sempre. Questo nelle prime classi in cui gli alunni erano ancora dei bimbi propensi allo scherzo bonario e innocente. Nelle terze invece cambiava la solfa. Non si rideva più dei nomi degli altri, si denigravano pesantemente gli altri per difetti fisici (uno troppo grasso, l’altra anoressica...) o semplicemente perché non corrispondevano a canoni estetici sempre più rigidi e inflessibili dettati dai nuovi mezzi di comunicazione. Quasi tutti gli alunni a quell’età erano dotati di smartphone che portavano regolarmente in classe. Avevano una vita attiva sui social e si confrontavano con questa nuova realtà oltre che fra di loro. Inoltre a quella età, tredici, quattordici anni, gli ormoni cominciano a farsi sentire, soprattutto nelle ragazze, sempre più mature dei colleghi maschi, e quindi, coi primissimi amori, nascevano anche le prime dolorose, nefande scaramucce.
"Silenzio, su," Oriella riprese l’elenco. C’era chi rispondeva con una semplice alzata di mano, timidamente, chi con un Presente appena accennato, chi urlando... Oriella tentava di associare i nomi ai loro comportamenti. Più tardi in sala professori avrebbe letto le loro schede individuali pervenute dalle scuole elementari da cui provenivano ma voleva farsi da subito una prima personale impressione. Era convinta, da artista, che si può arrivare all’anima delle persone partendo dai sensi; utilizzare il senso più immediato, la vista, per definire la psicologia di un individuo. Non era questione di lasciarsi influenzare, o meglio sopraffare, dalle apparenze, ma di studiare il linguaggio non verbale, l’espressione, la postura, il gesto, più delle parole, per comprendere i ragazzi che aveva dinanzi.
L’appello si concluse. I ragazzi la fissarono. Due maschietti in fondo all’aula si stavano dando gomitate e spintoni e chiacchieravano a voce abbastanza alta. "Basta, laggiù," le sembrò di ricordare i loro nomi: "Cristian, Vincenzo..." Un ragazzino al secondo banco le chiese: "Perché cosa ho fatto?" Oriella sorrise: un nome l’aveva azzeccato, quello di Cristian, Vincenzo invece era quell’esserino arruffato di rosso e lentiggini che le aveva posto la domanda. I due in fondo si zittirono. Dario, ecco chi doveva essere quell’energumeno col maglione verde accanto a Cristian. Entrambi scurissimi di capelli e piazzati.
"Allora, come vi dicevo, io sono la vostra insegnante di Arte ed Immagine. Che disciplina è l’arte- immagine, c’è qualcuno che lo sa?"
Vincenzo alzò la mano. "Dimmi, Vincenzo," invitò Oriella. "Disegno..." replicò Vincenzo un po’ titubante.
"Bravo Vincenzo, ma non solo disegno, anche altre tecniche artistiche. Vi insegnerò, per esempio, la pittura ad acquerello. Magari qualcuno di voi la conosce già, vero Loris?" E si rivolse al bambino riccioluto del terzo banco, dato che annuiva e si agitava vistosamente. "Soprattutto volevo dirvi che Arte e Immagine si propone anche d’insegnarvi la storia dell’arte, cioè come si è evoluta, cambiata, trasformata l’arte nei secoli. E anche, in quest’ottica, si propone di educarvi alla visione e alla percezione del Bello, che c’è in gran parte nel nostro territorio italiano. Ma che cos’è il Bello, secondo voi?"
Molte mani si alzarono, fa cui quella di Diana... Il ghiaccio era rotto.



Oriella non riusciva a credere ai propri occhi mentre scorreva la scheda di Diana in sala professori al secondo piano dell’istituto. La sala era arredata austeramente coi dei mobili da ufficio alle pareti, un grande tavolo attorniato da sedie e un dispensatore automatico di bevande. Oriella alzò gli occhi da ciò che stava leggendo, si guardò in giro. Non c’era nessuno dei suoi colleghi con lei nella sala. Le lacrime le scendevano sulle guance: Diana aveva una malattia incurabile che probabilmente se la sarebbe portata via presto. Tutto è così ingiusto a questo mondo, pensò, una bambina di undici anni, di appena undici anni.
"Oriella, carissima, come stai?" si sentì chiamare animosamente.
"Oh, ciao Silvano, come ti va la vita? Ho appena concluso due ore con una prima classe," e si alzò per salutarlo.
"Sono arrivato in un momento inopportuno? Stavi piangendo? Sai, anch’io mi sono fatto due ore con una prima stamattina e sono sinceramente stravolto a far capire loro qualcosa. Poi la matematica, bleah, sinceramente disgustati erano... ah, fortunata tu che insegni arte, ma lo vuoi un caffè? Sempre più bella sei, ma fatti guardare, pure abbronzata? Non ho ancora visto Henry, gioca sempre a pallavolo?"
Oriella fissò l’amico e la tristezza per la sorte di Diana scomparve. Silvano era incravattato con una cravatta rossa sopra una camicia azzurra e sfoggiava un completo di lino verde scuro. Gli occhi azzurri spiccavano sotto una frangetta sbarazzina...

carla vercelli 19/01/2021 06:43 546

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.

I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.

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Nota dell'autore:
«"La scuola" è un estratto del primo capitolo del mio romanzo "Non usare troppo rosso", giallo psicologico, uscito nel novembre 2020.
L’immagine allegata è opera dell’autrice, "Maschere a Venezia", olio su tela.
»

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